Infermieri: forte orgoglio professionale, ma scarsi riconoscimenti

ANABO

Annalisa Silvestro e Andrea Bottega si confrontano sui risultati dell’indagine svolta da Nursind in collaborazione con Cergas Bocconi. È stata presentata di recente un’importante indagine svolta dal sindacato Nursind e successivamente oggetto di un’analisi affidata al Cergas Bocconi, che ha raccolto le risposte di 4.300 infermieri italiani. Questo spaccato del vissuto e degli orientamenti della professione stimola ulteriori riflessioni. L’indagine parte con alcune domande orientate a sondare l’immagine e il posizionamento della professione. A confrontarsi sono Andrea Bottega, segretario nazionale Nursind, e la senatrice Annalisa Silvestro, presidente della Federazione nazionale Ipasvi.

Dottor Bottega, quali sono i risultati che emergono in particolare in relazione allo spirito di identificazione del corpus professionale? E a tal proposito, come valuta i dati che provengono da Olanda e Germania, i due Paesi con i quali si è condotto il confronto?

Bottega: Dallo studio – che sarà presentato alla sessione sanitaria della CESI che si terrà il 14 ottobre in Lussemburgo – emerge un risultato estremamente chiaro e frutto di una evoluzione positiva della professione: nonostante le difficoltà del sistema dal punto di vista organizzativo ed economico, gli infermieri italiani manifestano un forte orgoglio e identificazione professionale tanto che due terzi del campione sceglierebbero nuovamente di fare gli infermieri. Tale valore, in controtendenza rispetto ai dati raccolti in Germania e Olanda, smentisce il luogo comune presente in molta nostra stampa che vede nell’infermieristica una “professione di ripiego” per un facile impiego. È questo un dato a mio avviso importante perché ci consente di dire che il corpo professionale infermieristico può essere, nella sua positiva motivazione e nella coscienza del proprio valore, una potenzialità interna al sistema salute che, se ben orientata e pienamente espressa, può essere il fondamento di un nuovo sviluppo qualitativamente rilevante del nostro servizio sanitario che deve affrontare la sfida della sempre maggiore domanda di assistenza derivante dall’aumento delle patologie cronico-degenerative e dalle loro complicanze. È forse questo il messaggio più interessante che lo studio offre agli organi decisori: puntate sugli infermieri che rappresentano una risorsa diffusa a tutti i livelli del sistema, sono profondamente motivati a dimostrare quanto il loro lavoro può essere determinante per rispondere alle nuove sfide del welfare italiano.
Anche il confronto con Paesi Bassi e Germania conferma gli elementi di forza della professione infermieristica italiana: identità, orgoglio e senso di appartenenza molto forti, accompagnati da una formazione ritenuta complessivamente più positiva che negli altri due Paesi. Da questo punto di vista la categoria infermieristica può ritenersi ben inserita nel contesto europeo.

Sen. Silvestro, può commentarci questi dati? Quali sono gli elementi che hanno creato e sostengono questo forte senso di appartenenza professionale?

Silvestro: Devo dire che mi ha molto colpita e, ovviamente, in maniera positiva il senso di appartenenza e l’orgoglio professionale che emerge dall’indagine. Mi pare si possa anche affermare che c’è consapevolezza della centralità del proprio ruolo e che, anche per questo dato, vada dato conto dell’impegno di tutti coloro che, nelle diverse funzioni e ruoli, hanno continuato a trasmettere positività verso la professione e la sua “mission”. Credo che gli elementi che hanno portato a questa percezione del sé, siano in buona parte ascrivibili alle battaglie e ai riconoscimenti normativi – e non solo – per i quali l’Ipasvi tutta e le Associazioni professionali si sono costantemente spese.

Dottor Bottega, negativo, invece, è il giudizio espresso dagli intervistati sul riconoscimento sociale degli infermieri. Qual è il suo pensiero?

Bottega: È questo il punto debole, tipico del contesto italiano, che ci vede ampiamente lontani dagli altri due Paesi europei con cui si è fatto il confronto. A mio parere tale dato è frutto del medicocentrismo del sistema per cui si è sempre valorizzato la professione medica ritenendola la sola responsabile di ogni atto sanitario e di ogni decisione organizzativa. Tale medicocentrismo è diffuso nell’organizzazione delle strutture sanitarie (anche se recentemente si tenta di superare questo assetto riportando l’assistito al centro del sistema con le aree per intensità di cura/assistenza), nelle docenze ai corsi di laurea delle professioni sanitarie non mediche, negli incarichi dirigenziali e politici-amministrativi, nelle opportunità lavorative (si pensi alla libera professione che è preclusa alle professioni sanitarie non mediche), nella legislazione finanche nella giurisprudenza.
Risalire la china del riconoscimento sociale è quanto mai cosa dura proprio per questo retaggio stratificato nel tempo, ma è un percorso iniziato, come dimostrano i dati dello studio, e che il Nursind è determinato a supportare con gli altri attori infermieristici come i Collegi Ipasvi, le associazioni scientifiche infermieristiche e le organizzazioni professionali. La voce degli infermieri non può essere sola e in un solo luogo, ma deve trovare una pluralità di contesti e di accenti per renderla maggiormente evidente e rappresentata. Penso, inoltre, che questo gap con la professione medica e il forte orgoglio professionale siano stati due fattori determinanti lo sviluppo del sindacalismo infermieristico autonomo in Italia; una tipologia di sindacalismo che mi pare tipico dei gruppi professionali ben definiti e strutturati (ad esempio si veda il caso della Gilda degli insegnanti) e presente anche negli altri contesti europei.

Sen. Silvestro, la ricerca registra una evidente contraddizione tra consapevolezza di sé da parte del gruppo professionale e riconoscimento professionale e sociale che stenta ad affermarsi. Come superare l’attuale gap?

Silvestro: Paradossalmente proprio la crisi attuale può essere il catalizzatore del cambiamento che auspichiamo. Il sistema sanitario per non implodere ha bisogno di cambiare le logiche che lo hanno governato fino ad oggi. Non si può più evitare di individuare le zone della Sanità italiana dove permangono sacche di inappropriatezza, di spreco e di inefficienza. In tutto questo noi possiamo inserirci come attori protagonisti del cambiamento. Questo rafforzerà il nostro ruolo dentro le organizzazioni, migliorerà la percezione che di noi hanno i cittadini e rafforzerà il cambiamento culturale già in atto. Ricordo l’indagine Censis del 2011 i cui risultati hanno confermato il cambiamento che già c’è. Certo noi vorremmo che tutto si muovesse con maggiore rapidità. Ma stereotipie e letture ideologiche non si cambiano in poco tempo. L’ampliamento dell’assistenza infermieristica nei diversi setting territoriali sarebbe un forte volano.

Dottor Bottega, come commenta l’opinione degli infermieri sul loro rapporto con la politica e con i media?

Bottega: A tal proposito gli infermieri si allineano al giudizio negativo espresso dai colleghi di Olanda e Germania, anche se l’Italia ha valori ancor più negativi. Gli infermieri italiani ritengono che sia la politica, sia i media non si interessino adeguatamente ai loro problemi e alla loro professione in generale. Una criticità questa che lo studio sottolinea e che ritengo sia necessario porre al centro della nostra azione come organizzazione di categoria. Come infermieri dobbiamo uscire dall’autoreferenzialità, dai contesti lavorativi ed osare di più, portare il nostro impegno a livelli più alti perché oggi è vincente chi sa fare gruppo e sa costruire reti di relazioni significative. L’attenzione della politica e dei mezzi di comunicazione non avviene per un moto proprio, ma va provocata con l’impegno diretto in iniziative a favore dei cittadini e nell’organizzazione dei servizi, con la partecipazione attiva nei processi di definizione delle strategie aziendali, regionali e nazionali. Sicuramente è questo un ambito dove sarà necessario investire per far crescere la categoria e renderla capace di sostenere quelle “relazioni esterne” che ci permettano di essere parte in causa nella costruzione del futuro della nostra società e dei suoi servizi ai cittadini.

Sen. Silvestro, è d’accordo con questo atteggiamento negativo che emerge dalla ricerca? E, inoltre, lei che si è messa in gioco confrontandosi in prima persona con la politica, come commenta i primi mesi della sua esperienza di senatrice?

Silvestro: Farei un distinguo tra “media” e “politica”. Infatti, analizzando la produzione dei media nel loro complesso, si rileva una certa crescita nel corso degli anni ed anche un evidente progresso nel grado di conoscenza del mondo infermieristico da parte dei giornalisti. Ovviamente alcuni “scivoloni” continuano a manifestarsi, ed è necessario correggerli con richiesta di rettifiche e smentite. Ma nel campo dell’informazione molto dipende dalla capacità di “farsi conoscere”, di produrre notizie, di comunicare con gli addetti ai lavori. Quando si riesce a stabilire un buon rapporto con la stampa, gli errori si riducono e l’attenzione cresce. Per la politica il discorso è più complesso e, in questo caso, forse siamo tutti noi infermieri a dover “conoscere meglio” il sistema e le regole che lo governano. Posso però dire, alla luce di questi mesi di esperienza, che fra i deputati e i senatori vi è un’idea poco chiara della nostra professione. Rilevo ancora il sinonimo sanità = medici.

Dottor Bottega, nella professione si percepisce un diffuso disagio, legato ai riflessi della crisi che colpisce anche il nostro Paese. La seconda parte dell’indagine affronta le opinioni degli infermieri in relazione alle attuali condizioni di lavoro. Cosa emerge? Quali sono i punti critici? Come superarli?

Bottega: Anche qui la professione sa stupire. Nonostante le difficoltà lavorative espresse in maggior carico fisico e mentale con un notevole aumento negli ultimi anni e una resistenza del sistema a riconoscere il valore del lavoro svolto, i professionisti infermieri considerano mediamente buona l’assistenza che le nostre strutture ospedaliere offrono ai cittadini, ciò a testimonianza dell’impegno profuso e della volontà di superare i disagi organizzativi insiti nel sistema. Ancora una volta la dimostrazione della presenza di una professionalità qualificata, che sa assumersi le sue responsabilità e, a volte, anche quelle degli altri. Certamente la mancata valorizzazione in ambito aziendale stimola ancor più il sindacato a muoversi a favore di una categoria cui non è riconosciuto un adeguato merito, anche economico, a fronte di un servizio svolto nell’assistenza diretta. Inoltre, mi sento di esprimere particolare preoccupazione per la percezione diffusa dell’aumento del carico di lavoro se rapportato alla situazione italiana di contenimento del turnover, di riduzione delle dotazioni organiche e al loro invecchiamento. Occorre mettere il sistema in sicurezza garantendo adeguate dotazioni organiche (con un’adeguata presenza di personale di supporto) e una sua maggiore proporzionalità verso il basso per quanto riguarda l’età proprio, perché la richiesta di assistenza è destinata ad aumentare nel tempo e le risorse umane sono destinate a diminuire per la fuoriuscita in pochi anni di gran parte dei lavoratori attualmente impiegati e per la loro difficoltà di motivazione e impiego nella turnistica. Una proposta verso un graduale e facilitato ricambio generazionale, è stata presentata da Nursind ai ministri competenti e speriamo sia accolta nel quadro normativo che si andrà definendo. I primi riscontri che abbiamo rilevato tra i professionisti a una proposta di “staffetta generazionale” sono decisamente positivi sia per affrontare le difficoltà fisiche e famigliari di fine carriera, sia per risolvere il crescente fenomeno della disoccupazione giovanile infermieristica.

Sen. Silvestro, concorda con le opinioni espresse dagli infermieri? Quali sono in estrema sintesi le linee su cui si muovono le strategie professionali proposte dall’Ipasvi per fronteggiare la crisi?

Silvestro: È indubbio che la crisi economica e quindi occupazionale morda con durezza anche gli infermieri; e noi non ci eravamo abituati. Negli anni scorsi la nostra professione veniva sempre fatta salva dai blocchi assunzionali. A questo poi si aggiunge il blocco dei contratti di lavoro e la conseguente forte difficoltà nel delineare forme di riconoscimento della competenza, dell’impegno e della responsabilità. L’Ipasvi può e deve impegnarsi per elaborare e strutturare ipotesi e proposte da mettere a disposizione delle rappresentanze sindacali affinché queste ne facciano proficuo uso nel momento in cui si riaprirà la stagione contrattuale. Ipasvi e sindacati possono lavorare in sinergia perché si sblocchi la proposta sullo sviluppo delle competenze specialistiche e si possano ripensare, anche in logica professional, le funzioni di coordinamento. Perché, insomma, si possa superare questa fase di staticità e immobilismo. Il dato su cui tutti possiamo e dobbiamo far forza è che, nonostante tutto, il 68% degli intervistati sceglierebbe ancora la professione infermieristica.

(L’intervista è di Emma Martellotti)

via www.ipasvi.it

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