Stress da lavoro – In Sanità perse 30 milioni di giornate per malattia

ANABO

Lo stress lavoro-correlato in Italia colpisce un lavoratore su quattro e costa 30 milioni di giornate lavorative perse, per un valore totale di almeno 3 miliardi di euro l’anno. Più di quanto chiesto alla Sanità per contribuire al risanamento dei conti pubblici con la manovra al vaglio di Governo e Regioni. Il dato è stato diffuso dalla Federazione delle aziende sanitarie pubbliche (Fiaso) in occasione della presentazione di una ricerca sul benessere organizzativo svolta, in oltre quattro anni, su un campione di 65 mila lavoratori, distribuiti in 19 aziende, tra Asl e ospedali.

Partendo da un check-list di eventi sentinella del rischio di stress lavoro-correlato, si è rilevato il livello di benessere psicologico in un campione significativo dei dipendenti delle 19 aziende, che hanno poi attuato una serie di azioni mirate a migliorare l’ambiente lavorativo sotto tutti gli aspetti: da quello motivazionale a quello ambientale e di attenzione ai problemi sociali e familiari, che non sempre riescono a restare fuori della porta quando si è in azienda. I risultati sono stati sorprendenti: far lavorare i propri dipendenti in un clima più favorevole paga, visto che il numero di “stressati” in ufficio o in corsia è sceso ben al di sotto della soglia del 10%, contro un buon 25% di partenza. La lotta allo stress in Asl e ospedali coinvolti ha portato fino ad ora a una riduzione delle assenze per malattia pari a circa il 30. E la Asl Cuneo 2 e la Asl 12 di Viareggio, capofila del progetto, risultano essere anche in cima alla classifica delle aziende con minor tasso di assenteismo.

I 13 fattori “anti-stress” rilevati dalla Fiaso sono rappresentati da quelle variabili che, in una scala a 1 a 5, riescono a influenzare maggiormente lo stato di benessere sul lavoro sono valori legati alle capacità lavorative, come l’abilità (4.26) e la capacità di utilizzare risorse proprie (4.20). Ma particolarmente rilevanti sono anche la chiarezza del proprio ruolo (3,95), la capacità di fronteggiare gli eventi avversi (3,92), la soddisfazione lavorativa in genere (3,92). Da non trascurare anche le altre variabili. In primis la condivisione degli obiettivi (3,77) e il senso di comunità (3,58). Fattori di disagio lavorativo sono invece prima di tutto i carichi di lavoro (3,57), frutto non solo della politica di quasi permanente blocco delle assunzioni in sanità, ma anche di inefficienze organizzative a cui le aziende stanno ponendo rimedio. Seguono poi i problemi di conciliazione lavoro-famiglia e i trasferimenti o cambi di mansione.

La sanità rispetto alle altre aree della dipendenza pubblica ha una sua specificità che non può essere sottaciuta quando si affrontano tematiche quali il benessere organizzativo, lo stress lavorativo e le violenze sugli operatori.

Gli elementi che prevalentemente vengono utilizzati per rilevare e delineare il fenomeno del benessere organizzativo e correlato stress da lavoro, non sono sufficienti a cogliere le molteplici variabili che, in ambito sanitario, possono essere intese come determinanti. Non è sufficiente computare il numero di eventi avversi o i ‘quasi errori’, gli infortuni sul lavoro o i tassi di assenza. Quei dati, certamente oggettivi, sono sicuramente la spia di qualcosa, ma non sono esaustivi e non unici nel determinare il livello di stress di ogni operatore e il benessere organizzativo.

Non possono essere posti in secondo piano i fenomeni correlati alla fase di evoluzione e ridefinizione della sanità e delle organizzazioni sanitarie; il problema dei ruoli, delle relazioni tra le professioni, delle responsabilità individuali e di equipe. Non può non essere considerata la tensione derivante dagli accorpamenti di unità operative, di intere aziende, dai diversi fenomeni e processi di riorganizzazione aziendale, dei turni pesanti, degli organici depauperati, dell’aumento dell’età media degli operatori e, non da ultimo, della situazione socio economica generale e personale. Senza considerare anche tutto questo, le riflessioni su come perseguire il benessere organizzativo non potranno essere complete e soprattutto non porteranno a interventi mirati e concreti. E c’è anche il fatto che i nostri professionisti – quasi tutti operatori di front office – diventano facile bersaglio dello stress accumulato da assistiti, loro familiari e rete amicale. Così, si possono raggiungere momenti di tensione e aggressione verso il personale, che non necessariamente (per buona sorte) è ‘violenza’ fisica, ma che molto spesso è verbale e comportamentale. Una violenza che ha molte cause e che, proprio per questo, non potrà essere superata agendo su un unico fronte, quello delle norme o delle linee guida.

Gli interventi devono essere plurimi: bene le norme di supporto, bene le linee guida ma bene anche la prevenzione attraverso l’informazione è gli interventi di acculturamento di cittadini e operatori. L’impegno delle istituzioni, degli operatori e anche dei cittadini deve essere quello spiegare, parlare, documentare e documentarsi per far comprendere e per impegnarsi a comprendere gli elementi e le variabili che incidono sui determinanti delle diverse situazioni. È opportuno che le istituzioni, i decisori e gli operatori mettano in atto forme diverse di interventi che possano aiutare chi è a diretto contatto con le diverse tipologie di utenza a prevenire alcuni eventi e a gestire la propria e l’altrui ansia e stress. Molti cittadini fruitori delle unità di Pronto soccorso hanno poche risorse informative e economiche e si affacciano e affollano quel servizio in ricerca di risposte che non trovano sul territorio o che non possono acquisire in altro modo. Concitazione, folla, attesa, preoccupazione, sfiducia nel sistema, aumentano il livello di aggressività. Non è infrequente che assistiti e parenti esercitino forme di violenza o assumano particolari modalità comportamentali o assumano manifestino preconcettualmente dubbi se la prestazione, nelle diverse unità operative non solo di emergenza urgenza, non è immediata, effettuata secondo le loro indicazioni e subitaneamente risolutoria. E per il benessere organizzativo e i livelli di stress, si ripropone la classica situazione del ‘serpente che si morde la coda. A questo punto è necessario da parte di tutti, decisori, operatori e cittadini, riflettere con pragmaticità sul fenomeno.

Si deve portare in evidenza la questione, intervenire con la formazione e con forme di supporto e aiuto diversificate e personalizzate sugli operatori e delineare ed attuare momenti strutturati e reiterati di informazione, educazione civica ai cittadini. Anche al fine di ricostruire il rapporto di fiducia dei cittadini verso il Ssn e verso gli operatori che sono la testa, le braccia e le gambe del sistema stesso.

Il fenomeno, che assume contorni di sempre maggiore evidenza e che incide e impatta oltre che sui livelli di stress degli operatori e sul benessere organizzativo e che impatta anche sulla sostenibilità del sistema, può essere circoscritto e progressivamente debellato”.

via ipasvi.it

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